Tartufo della Val Bormida

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Tartufo della val Bormida
Il Tartufo della val Bormida

Il tartufo bianco si presenta con l’aspetto di un tubero dalla forma irregolare, con buccia liscia di colore tra il crema e il nocciola. La carne è compatta, dura, friabile, di colore bianco-gialla grigia quando è completamente maturo. Si gusta sopra al riso o alle uova.

Il tartufo nero, più diffuso e quindi meno caro di quello bianco, cresce ai piedi di querce, pioppi, noccioli. L’aspetto esteriore è di colore brunastro con buccia ricoperta da centinaia di verruche poligonali che la rendono scabra. La carne è grigia, rossiccia, o nerastra con venature bianche o rosse. Meno profumato, si conserva più a lungo. Il suo aroma si apprezza solo con la cottura. Infatti deve sempre essere cotto al burro prima di essere tagliato a fette e disposto su uova, fettuccine, paté, ravioli.

Coltivazione

Per coltivare i tartufi bisogna coltivare gli alberi, è su questo nuovo principio che si basa la coltivazione moderna del tartufo. Per effettuare la raccolta che da sempre viene eseguita nel territorio della valle, è necessario avere un cane addestrato appropriatamente. Indispensabile è anche una zappetta, in quanto solitamente si trovano a 30-40 centimetri sotto terra. I tartufi si raccolgono in autunno.

Curiosità

Considerato cibo degli dei per le sue presunte proprietà afrodisiache, si credeva fosse nato per effetto di un fulmine scagliato da Zeus. Che i tartufi fossero funghi micorrizogeni fu sostenuto per la prima volta dal Mattirolo (1887), allievo del Gibelli. La dimostrazione microscopica fu data dal suo amico Dangeard, per il tartufo nero pregiato (Tuber melanosporum), nel 1894. Per avere invece la prima descrizione microscopica della micorriza del tartufo bianco (tuber magnatum) bisognerà attendere il 1976, ad opera degli italiani Palenzona e Fontana. Il tartufo Aestivum (scorzone) o il tartufo Albidum (bianchetto), pur avendo un valore di mercato inferiore, presentano minori esigenze in fatto di suolo e di clima.

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